“In fin dei conti è solo un sacco di ossa“. Sono queste le agghiaccianti parole pronunciate da un operaio, lavoratore in un parco di tigri nel nord della Cina, usate per descrivere cosa rappresentasse per lui il corpo privo di vita di una tigre. Frasi terribili dietro ai quali si cela il mostruoso business che li guida e cancella irrimediabilmente ogni sentimento di pietà o di rimorso.

Stiamo parlando del traffico illegale delle tigri negli allevamenti asiatici, tenute in condizioni disumane e spaventose, per alimentare un circuito che ruota attorno all’assurda avidità dell’essere umano. Il denaro al di sopra della vita di un essere vivente, il vanto grottesco di portare avanti un commercio che sfrutta i grandi felini dell’intero Pianeta. Appelli, richieste disperate da parte di associazioni e leggi a favore della tutela degli animali, non sfiorano minimamente i responsabili di questo massacro che continuano imperterriti a perseguire il loro scopo. Creare gioielli, cibo e medicine è l’obiettivo primario della cattura di migliaia di esemplari selvatici che non fa distinzione tra
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