Il Sanremo dell’era Covid è stato bifronte. Un colpo alla tradizione e l’altro al cambiamento. Il rock, musica del demonio, vince con i Maneskin e nello show abbondano a vario titolo il turpiloquio, le allusioni sessuali, il travestitismo – che poi si

sia trattato quasi sempre di roba già vista da almeno cinquant’anni nel solco dei grandi rivoluzionari (Bowie e Mercury, Iggy Pop, Boy George, Renato Zero) non è dettaglio di facile intuizione per il grande pubblico. Sanremo, si sa, appartiene alle famiglie, ai puristi della canzone italiana, agli integerrimi alfieri del pop garbato che non accettano sbavature. Per loro Maneskin e Achille Lauro su quel palco sono l’Anticristo. Amadeus e Fiorello (l’uomo alpha siculo che negli sketch indossa mantelli di fiori e occhiali a farfalla da diva), ma soprattutto la Rai,
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