di Adriana Martinotti
Quanto la realtà dell’informazione, dell’editoria e della condivisione di contenuti corrisponde a questa riflessione che Bill Gates fece nel 1996?
La situazione attuale si riassume nell’affermare l’esatto contrario: “fregatevene della qualità tanto contano i like”.
Abbiamo creato figure professionali nuove a discapito di una qualità d’informazione.
Gli “esperti” del settore sommergono i lettori d’informazioni, il più delle volte inutili.
Pilotare attenzione, la parola d’ordine.
La principale caratteristica del giornalismo è l’interazione con il pubblico ma in Italia, a differenza di altri paesi, si vive di atteggiamento onnisciente.
Pochi applicano la pratica del data journalism e ci si limita a fare debunking.
Non è neanche un dato generazionale, Sandro Ruotolo, classe 1955, attua ad esempio un giornalismo di precisione e di grande valore.
Video che non vengono aperti, articoli che restano rinchiusi in un titolo accattivante.
Siamo nell’epoca dei non lettori.
Altro che fake news o realtà virtuale.
Godiamo della trasformazione delle notizie in comodità o commodity e chissà se l’uso dell’inglese rende il fenomeno più accattivante e meno drammatico.
Tutto a portata di mano, assenza di fonti, altrimenti il concorrente si può avvantaggiare.
Affermava Vittorio Orefice che: “le notizie portavano nome e cognome: il suo”.
Così facendo portiamo avanti un prodotto e non un servizio.
L’attenzione ora è puntata su nuove prospettive di business che apportino qualità, spessore, valore.
Due giornalisti Alberto Puliafito e Daniele Nalbone autori del libro “Slow journalism” sottotitolo “chi ha ucciso il giornalismo“, stanno rivoluzionando e scardinando questo sistema.
Regalano con questo libro la parola a chi prova disagio, a chi percepisce che la strada percorsa non sia quella giusta e cerca soluzioni.
Le nuove idee, prima di essere abbracciate, vanno studiate e, dati alla mano, verificate.
Scopri che chi detiene il potere è internet con le sue analisi e indicizzazioni. Google, Amazon, Facebook, l’ordine non è casuale, dettano le regole.
Leggere questo libro è come entrare nella scatola nera di un aereo che decollando ha dimenticato impostazioni e reset necessari, vitali.
Tracciamo un percorso: gli editori hanno le loro necessità e per soddisfarle costringono i giornalisti ad una super produzione che porti consensi.
Fino a che punto è vero, poi, che questo cammino apporti introiti non sempre certi rendendo il fenomeno meno drammatico?
Contratti fake sottopagati, era prevedibile che il rapporto di fiducia con il pubblico si incrinasse e che si arrivasse a dimenticare che il fact-cheking, cioè la verifica dei fatti, rimanga l’arma vincente.
I giornali non devono competere con i social, bisogna rallentare i contenuti e creare nuove forme di business che vadano a favore della cultura.
Se educhiamo i giovani a colpi di click, non ci sarà una informazione che contribuisce alla crescita sociale, economica e umana.
Il valore aggiunto è nell’essere differenti, nella capacità di distinguersi nel rapporto con i lettori. La vittoria di valore sarà di chi con la qualità del proprio giornale aumenterà il livello qualitativo del lettore.